La salita

La borsa di Tokio ha fatto il botto, verso il basso. Non accadeva da ventisei anni, dicono. Non che sia un esperto, ma tant’è, dovunque ti giri vedi foto di facce depresse che si battono il petto e dicono che il momento non è mai stato così nero. E lo dicono al cellulare, magari quello che chiamano melafonino, che costa seicento euro, magari con un piano tariffario da più di trenta euro al mese, mentre guidano la macchina a cui hanno appena fatto il pieno e collegano l’accessorio bluetooth da trenta euro perché altrimenti guidare è pericoloso.

Salita

Salita

No, no, aspetta un attimo, c’è qualcosa che non mi torna.

Me li ricordo io i discorsi di mia nonna. Mi ricordo come diceva che quando c’era la guerra, per mangiare, bisognava andare a lavorare presso chi aveva dei possedimenti, che magari erano solo un quadrato di terra, e lavorare sperando in un contributo. Che poi generalmente era un sacco di farina, qualche verdura e se si era fortunati un frutto.
Quella lì era la crisi, almeno per come la definiva mia nonna. Che era vecchia.
Mia mamma mi racconta spesso di quando la pasta si comprava dalla latteria sotto casa e te la vendevano al chilo. Poi se i soldi erano pochi (e da quel che mi ha detto, lo erano quasi sempre) si contrattava per avere le frattaglie, praticamente quello che rimaneva sul fondo dei contenitori.
Dici, stai facendo discorsi da vecchio anche tu. Vero. Però, fermo restando che sono nato vecchio (ma non mi chiamo Benjamin Button) e su questo non si discute, mi sta stretta la definizione di crisi associata a questo momento storico.
Ci sono nuclei familiari che hanno una macchina, un telefonino, un computer, una televisione per ciascun individuo. Rapportando questa cosa al passato è assurdo pensare che ci sia crisi. Il problema semmai è l’abitudine. L’abitudine a dare tutto per scontato. I beni, gli svaghi, la salute, tutte cose che ci si è abituati ad avere e che per questo entrano nella routine. Non sono un privilegio, ma un diritto.
Ma che magnifica opportunità che è questa crisi, se così la si vuole chiamare. Che cosa straordinaria sarebbe tornare un poco a riflettere sull’essenzialità delle cose. E non ci vorrebbero profondi discorsi filosofici, basterebbe sedersi sul tronco come l’orsetto Pooh e picchiettarsi un poco la mano sulla testa ripetendo “Pensa, pensa, pensa!”.
Rimbalza in giro la notizia di alcuni vescovi che propongono l’astensione totale dalla tecnologia: è la rinuncia adattata ai tempi. Una volta si chiedeva il digiuno dai pasti il primo e l’ultimo venerdì, oggi si chiede il digiuno tecnologico. Sarò impopolare, ma sono d’accordo, sebbene lo dica da un internet Blog 🙂
Però certe volte fa bene fare la salita, prendere le scale anziché l’ascensore, giocare a carte anziché guardare le gabbie di scimmie urlatrici alla tv, insomma… Acquisire di nuovo la consapevolezza che niente è scontato, che sebbene oggi ci sia da scegliere tra cento tipi di pasta domani ci si potrebbe trovare a chiedere le frattaglie sul fondo del contenitore e bisognerebbe comunque essere felici, perché la vita in fondo è una sola.
Pensa, pensa, pensa.