Io, prendo te, come mia sposa

Quanti matrimoni si vedono in una vita? Tantissimi. Ne ho vissuto uno due settimane fa. Basta crescere con un gruppo di amici ed alla fine si sposano tutti. Prima o dopo tutti ci passano. Ed in barba all’indipendenza, alla laicità e via dicendo, la maggioranza si sposa ancora in chiesa.

Orgoglio

Orgoglio

Ad un certo punto, durante il rito, arriva la parte che viene definita “la promessa”. Io nome prendo (o “accolgo”, che però a me non entusiasma come verbo ed in fondo spiego il perché) te nome come mia/o sposa/o e prometto di esserti fedele sempre nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarti ed onorarti tutti i giorni della mia vita.
Viene detta “fedeltà eterna”, ma si sa, l’essere umano non ha buona memoria. Perché poi si mette in mezzo la vita e cominciano i problemi e, pian piano, si inizia a dimenticare.

Salomone a Dio non ha chiesto oro o potere, ma saggezza. Scrive la bibbia che Dio gliel’ha donata, ma dubito Dio abbia fatto realmente qualcosa in quel caso. Qualcuno che chiede in cambio di un desiderio la saggezza, è già profondamente saggio, dubito abbia bisogno di un aiuto in quel senso.
Cito Salomone perché credo che forse la via giusta per vivere un rapporto, un matrimonio, non sia tanto quella di chiedere doni che facciano funzionare le cose. Smettere di dire: fa che mia moglie (o mio marito) mi ami, fa che non mi tradisca, fa che non si ammali mai.
E’ qualcosa di impossibile ed insensato.
Cosa rimane? Forse cambiare prospettiva. Provare a chiedere: dammi la forza di essere sempre un buon (o una buona) amante, dammi la forza di dare a lei (o lui) quello di cui ha bisogno per essere felice, dammi la forza di superare difficoltà e malattie come un uomo vero (o una donna vera).
A quel punto non è più una questione di doni. A quel punto si ritorna a quella che è l’origine della ricerca: chiamala felicità, chiamalo regno di Dio.
Come si raggiunge?
Io lo scrivo in calce alle mie mail da sempre, per non dimenticarlo mai. E’ un pezzo di vangelo che nella sua semplicità spiega come il segreto della felicità (o regno di Dio) stia nel non risparmiarsi mai, nel dire che se trovi una perla preziosa, allora la cosa giusta è vendere tutto quello che hai e prenderla, non “accoglierla”.
Per quello non mi entusiasma la formula dell’accoglienza. E’ insito nel verbo “accogliere” il non trattenere. Ma una cosa così preziosa non la puoi lasciare andare. Mai.