Duemiladieci addio

La fortuna non esiste. Lo vado ripetendo da una vita. Non ci credo. Intendo che esistano persone sfigate ed altre fortunate, anche se all’atto pratico magari tutto sembra valorizzare la teoria dei “baciati dalla fortuna” e delle loro controparti pecore nere.

Fortuna

Fortuna

Per questo, facendo il sunto dell’anno appena trascorso non mi vien voglia di dire “è stato un anno sfortunato”.
Anche se poi, magari, ne son successe di tutti i colori…

E forse anche qualcosa di più. Certe volte pare decisamente che le vicende, le cose che succedono, si accaniscano nei tuoi confronti manco avessi un occhio di bue stampato sul petto o una scritta “Welcome” sul sedere.
Non si può però cedere alla tentazione di darsi dello sfigato. Non esiste proprio. Perché, e probabilmente sto solo elencando dei luoghi comuni, ognuno è artefice del proprio destino.
Credere nella fortuna e nella sfortuna ti porta di botto indietro di tremila anni, ad onorare burberi Dei che non hanno niente di meglio da fare che giocare con la vita di noi miseri mortali. E’ una mentalità schifezza. Ed è tutta racchiusa nelle lotterie Italia, nei gratta e vinci da dieci euro, nelle slot machines frequentate da chi quegli Dei li onora tutti i giorni, magari definendosi nel contempo ateo.
La fortuna non esiste.
La sfortuna nemmeno.
Esistono gli eventi, che parafrasando Alanis Morrisette, possono apparire ironici, come vincere la lotteria a 98 anni e morire il giorno dopo, ma sono eventi, nulla a che vedere con un disegno oscuro ai più, che dovrebbe gratificare una persona piuttosto che l’altra.
“Dillo al figlio di quella famiglia ricca”.
“Dillo a chi ha fatto sei all’Enalotto”.
“Dillo a chi ha scoperto un’eredità insperata”.
Questa si chiama fortuna?
“Dillo a chi ha scoperto di essere malato”.
“Dillo a qualcuno a cui hanno rubato un figlio”.
“Dillo a chi non sa se arriverà a stasera per colpa della fame che ha”.
Questa si chiama sfortuna?
Siamo davvero convinti che sia tutto un gioco di dadi fatto da una gnocca bendata?
Stavolta parafraso Scalfaro: “Io non ci sto”.
Anche perché attribuire questo o quell’altro evento a meccanismi sconosciuti sminuisce l’essere uomo (o donna, beninteso). Sminuisce quanto puoi dimostrare a te stesso ed al mondo che qualsiasi cosa ti succede, tu mantieni comunque la tua dignità, tu resisti, ed anzi tieni lo sguardo bello dritto. Perché il guardare a terra, il grattare il bigliettino che ti è costato come un’ora di lavoro, lo sperare che dei numeri ti cambino la vita, beh… E’ da sfigati.

Quindi, nonostante tutto, il duemiladieci non lo voglio uccidere. E’ stato pesante, duro, intenso, costoso ed a tratti demoralizzante, qualcosa che di sicuro ricorderò per tutta la vita. Non lo uccido, giuro, ma… Duemiladieci, la porta è quella, qui hai finito.