Robot ITA 0.1, il mio racconto

Ho partecipato al concorso indetto dalle edizioni Scudo (http://www.edizioniscudo.it) in cui veniva chiesto di scrivere un racconto breve sul tema Robot ambientato in Italia.

Robo ITA 0.1

Robo ITA 0.1

E’ stato divertente stare in 3600 battute, anche se di per sé la vicenda che ho raccontato è abbastanza macabra e grottesca. Ovviamente consiglio l’acquisto del volume, il prezzo non è particolarmente economico, c’è un errore di stampa all’inizio del mio racconto e tutti i racconti sono scritti in linea di massima da autori esordienti ma… Che diamine… Diamogli una possibilità!

E’ di amore che ho bisogno

«Ecco, osservate attentamente.»
Il professore aveva lo sguardo sicuro e sullo schermo nella modernissima aula magna dell’università Bicocca di Milano c’era il volto di una donna bellissima, attraversato da un coltello. Lo stato di choc generale era provocato dal fatto che, oltre a non esserci una goccia di sangue visibile sulla scena, la donna accoltellata stava parlando con tono pacato.
«Perché mi hai fatto questo? È di amore che abbiamo bisogno. Non di questo. Torna da me,» dopo essersi levata il coltello dalla testa, la donna aveva spalancato le braccia.
«Torna da me,» aveva ripetuto e di fronte a lei era comparso un uomo, i cui tremiti si facevano sempre più evidenti, che dapprima si era ritratto, poi aveva allungato la mano e trovato quella di lei. A questo punto l’unico suono proveniente dal video era quello di un pianto sommesso, trasformatosi nei gesti in un commovente abbraccio.
«Chi ha il coraggio di definire questa creatura un essere artificiale?» a rompere il silenzio in sala era stato il professore. «Essa ha compreso i sentimenti dell’uomo e lo ha messo di fronte alle proprie responsabilità. Ha stabilito una nuova frontiera nella psicologia, un nuovo modo di affrontare malattie e problemi mentali. Quest’uomo è stato completamente recuperato, e questo è un fatto. Questo video risale ad un anno fa e la persona è adesso reintegrata nella società e svolge un lavoro socialmente utile. Il recupero di un assassino è possibile e questa ne è la prova! Grazie alla vita donata dalla tecnologia ad una creatura artificiale la nostra università siglerà il proprio nome e quello di Milano nell’olimpo della conoscenza. Grazie a tutti.»
Dalla platea si levò un boato. Il rumore degli applausi si fece assordante.
Il professore, seguito dal suo assistente Baggini, si avviò verso l’uscita con fare sicuro, sorridendo agli sguardi che incrociava. D’improvviso una voce alle loro spalle costrinse entrambi a rallentare.
«Professor Minardi!» ad urlare dal fondo del corridoio era stato Santoro, il secondo assistente. «Mi dispiace interromperla professore, ma dovrebbe vedere questo,» disse l’assistente porgendo un tablet al suo interlocutore. Contrariato Minardi afferrò con fare scocciato il computer.
«È del paziente numero trentasei, androide uno,» spiegò Santoro.
Lo sguardo di Minardi si fece d’un tratto interessato. Toccando lo schermo, fece partire il video.
L’ambiente era lo stesso del video mostrato poco prima nell’aula magna, ma la scena che si presentava era agghiacciante. C’era sangue dappertutto, su ogni mobile, quasi l’ambiente fosse stato tramutato in un macello. L’inquadratura si era abbassata dalla porta al pavimento dove un corpo di uomo, inerte, veniva flagellato di colpi con un coltello da cucina. Sopra l’uomo, come una furia ossessa, stava l’androide uno, che senza mostrare alcun segno di stanchezza incideva con insistenza il coltello nel corpo ormai morto: È di amore che ho bisogno.
La voce dell’androide era calda ed allo stesso tempo sintetica.
«È di amore che ho bisogno… È di amore che ho bisogno… È di amore che ho bisogno…»
Il professore si voltò a guardare l’assistente, spostando poi lo sguardo verso Santoro.
«Sapevamo che aumentando la complessità si correva il rischio di incorrere in reazioni inaspettate. Effettuiamo un rollback del firmware, rimuovendo gli ultimi contributi della dottoressa americana in stage presso il laboratorio. Il progetto non si ferma, il paziente numero trentasei non ha saputo affrontare il senso di colpa e si è suicidato. È tutto chiaro?»
«Ma l’opinione pubblica, i fondi del governo, tutta la pubblicità… Siamo rovinati!»
La voce dell’assistente Baggini era quasi un sussurro. Il professore fissò i due e scuotendo la testa, sorrise.
«Suvvia signori, siamo in Italia!» e dopo aver premuto il tasto DELETE sul tablet, riprese a camminare verso il proprio ufficio.

© Raoul Scarazzini 2011